giovedì 1 dicembre 2011

Stuxnet ed evoluzione democratica: segnale per il futuro


Mentre la competizione per lo spazio prosegue nel silenzio dei media, fa la sua comparsa la cyber-war, ormai non più una remota possibilità o una semplice battaglia tra hacker, ma una realtà tutt'altro che "soft". Qualcosa è cambiato: intelligence, guerra e informatica si evolvono interconnesse e con enormi conseguenze sul piano militare e geopolitico. I media l'ignorano, la politica spiccia ne sarà investita, l'Italia è in pericoloso ritardo.
Stuxnet, è il nome del punto di svolta, una scossa al tradizionale concetto di attacco informatico. Secondo alcuni(1) sviluppato nel Dimona Complex(2), ma ufficialmente figlio di ignoti, Stuxnet è un worm(3) rivoluzionario che infetta i sistemi operativi windows e agisce sui software SCADA(4) come WinCC e PCS 7, sviluppati dalla Siemens. I sistemi industriali più importanti, i laboratori di ricerca, gli impianti di produzione dell'energia, gli impianti di gestione delle reti ferroviarie, le dighe, le fognature e ancora altre infrastrutture, normalmente si servono dei programmi di monitoraggio e controllo industriale SCADA chiusi alle interferenze esterne, questo per il grave danno che un attacco informatico potrebbe causare loro.
Studiato apposta per infettare i computer industriali, Stuxnet è un programma che spia e riprogramma il computer per poi agire al suo interno. Una volta installato, il riesce lentamente ad ottenere il controllo del sistema e ad infettare altri computer collegati, poi agisce sui parametri critici mandando in crisi l'impianto. Senza tanti giri di parole, un worm di questo tipo può aprire le chiuse di una diga, far deragliare treni e, tra le altre cose, fare impazzire le centrifughe di una centrale nucleare. Il suo potenziale distruttivo è enorme e va ben oltre il livello software. Anzi, è studiato affinché i suoi danni siano fisici.
A farne le spese è stato innanzitutto l'Iran, che nel 2009 ha perso per causa sua quasi un migliaio di centrifughe per l'arricchimento dell'uranio e ha visto così ritardare il suo sogno nucleare. Recentemente “Un alto ufficiale militare iraniano ha accusato esplicitamente gli Usa e Israele di essere i creatori del supervirus informatico Stuxnet [...] ma ha anche accusato la Siemens di avere fornito ai due Paesi le informazioni necessarie per attuare l'attacco”(5). Il ragionamento è chiaro: l'avete fatto su misura per noi, per questo ne siamo le vittime. La portata del fenomeno, al contrario, è un problema aperto: su circa 100.000 computer infetti, solo il 60% sono iraniani(6) e questo non basta a considerare Stuxnet un'arma al servizio dell'Occidente, perché, con le parole dell'esperto hacker Fabio Ghioni al Riformista, «Stuxnet è uno vero strumento di guerra, è un’arma di nuova generazione. Però il problema è che se la scateni se ne va da sé. Come tutti i virus naturali, è improbabile che faccia fuori completamente tutti i suoi bersagli. Quindi il rischio che si rivolti contro è altissimo. È un’arma a doppio taglio. Quante nazioni nel mondo usano Siemens per i loro sistemi critici? Pensare di riuscire a colpire solo l’Iran è sbagliato. Quei sistemi gestiscono le infrastrutture critiche di un Paese e nell’era della globalizzazione l’Iran usa prodotti Siemens. Solo che la dipendenza da quei sistemi per Iran e Iraq è del 5%. Noi invece siamo completamente legati ad essi, inclusi i trasporti. Non abbiamo il nucleare, ma tutto il resto regge su sistemi Scada. Dobbiamo solo pregare e sperare che chiunque abbia creato questo strumento abbia calcolato che Stuxnet non si ferma mica all’Iran. Ma se così non fosse, noi che diventeremmo, un danno collaterale? Windows lo usiamo sicuramente tutti. Tanto vale allora spegnere internet»
Ma come è possibile che dei computer industriali, con programmi SCADA isolati, siano stati infettati? Quale hacker è in grado di violare quei sistemi? Qui risalta il mutamento di dinamica rispetto ai classici attacchi: Stuxnet infetta i computer dalle chiavette usb e, una volta entrato, infetta altre tre chiavette. L'elemento umano è essenziale. Perché parta il primo contagio, è necessario che una “talpa” coi giusti permessi inserisca la prima chiavetta, altrimenti non vi è modo. Questo non sarebbe stato possibile senza un'abile operazione di 007 capaci di penetrare la stretta cintura di sicurezza dell'Iran attorno alle sue centrali.
Quali nuovi scenari apre questo tipo di attacco?
Si esce dal concetto di “guerra fredda” per portare l'informatica sul piano della vera e propria guerra. Un attacco con mezzi soft come Stuxnet – e le sue prossime evoluzioni – porterà necessariamente ad un nuovo warfare e, quel che è peggio, ad un nuovo modo di concepire anche gli attacchi terroristici. Ogni punto nodale di produzione, ogni diga, ogni infrastruttura critica o sistema informatico di gestione statale, bancario, industriale, saranno potenziali obbiettivi, colpibili senza esplosivo, senza kamikaze, senza pallottole. Inondazioni, complessi di produzione robotizzati distrutti, treni deragliati, centrali nucleari che fondono il nocciolo, sono eventi di sicuro impatto sia mediatico che economico, e spesso sono molto, troppo facili da colpire con questi mezzi.
Basta pensare alla vulnerabilità dei nostri impianti, in Italia e in Europa, a quanto i sistemi civili siano poco preparati a respingere simili attacchi, al fatto che oltre degli hacker e delle spie industriali, dovranno occuparsi anche di programmi di matrice terroristica. Ogni infrastruttura critica è, volenti o nolenti, un obbiettivo.
Le conseguenze di tutto questo non possono che essere di grande portata, anche se non necessariamente subito visibili.
L'Europa non è affatto pronta ad affrontare questa novità, è in ritardo di almeno dieci anni e ancora dorme. L'Italia, poi, è ancora più indietro. Anche ponendo per ipotesi che L'Europa e l'Italia si sveglino miracolosamente prima di un attacco massiccio, cosa tutt'altro che scontata (7), l'iter che seguiranno gli eventi avrà conseguenze non trascurabili sull'intero sistema di governo europeo e nazionale, soprattutto perché sommate ai processi di forzato accentramento tutt'ora in corso a livello sovranazionale.
Il primo passo sarà senz'altro un enorme aumento della spesa per la messa in sicurezza dei sistemi di gestione delle strutture critiche, ma questo non sarà sufficiente. Una nazione non può garantirsi la sicurezza, in queste condizioni, senza una stretta collaborazione tra pubblico e privato quindi, come ogni volta che il civile deve affrontare ingenti costi e ha carenza di know-how, nei settori chiave interverrà lo Stato (in modalità diverse da quelle attuali, ossia con maggiore ingerenza e non solo con iniezioni di liquidi) nella gestione e negli investimenti perché le strutture critiche non falliscano, ma neanche questo basta. Le conoscenze e i mezzi per a far fronte a queste necessità sono di tipo militari, si parla di cyber-war, e le infrastrutture civili critiche, al diffondersi ed evolversi di queste armi, vorranno e chiederanno (altrimenti verrà loro imposta, la spinta in questi casi tende ad arrivare da entrambe le direzioni) una partecipazione militare alla sicurezza.
Ma la sicurezza non può che essere gestita in maniera organica e coordinata, altrimenti si rivelerebbe inefficace, quindi, all'interno di ogni Stato e tra Stati, andranno sviluppati importanti protocolli subordinati a strategie comuni, ottenibili solo con una forte e costante (quanto forse invisa ai governi europei) collaborazione internazionale, in cui bisognerà necessariamente riuscire a trovarsi d'accordo. Questo serve anche a “tenersi d'occhio” a vicenda. Così si potrà avere la prevenzione sistematica necessaria negli scenari futuri e la garanzia di ingenti investimenti in sicurezza. Probabilmente gli eventi avranno una dinamica simile soprattutto perché avverranno in uno stato di emergenza o comunque dovranno bruciare i tempi per rincorrere i paesi già preparati.
Gli Stati Uniti, manco a dirlo, paiono avanti anni luce col loro USCYBERCOM, Paesi come il Pakistan hanno un apparato di cyber-war migliore del nostro, l’Iranian Cyber Army è uno degli eserciti cibernetici più insidiosi che vi siano. Quanto all'Europa, cito ancora Ghioni sul Riformista <<Ma tu hai presente l’Enisa? Sarebbe l’European Network and Information Security Agency. Ha sede a Creta. L’ha diretta un italiano, Andrea Pirotti. Lo hai mai sentito? Hai letto mai sui giornali le raccomandazioni dell’agenzia a proposito di cyber crimini? Io no. Siamo rimasti al famoso albero caduto su un traliccio che determinò il black out del 2003. In assenza di altre giustificazioni deduco che gli alberi sono un nemico dell’uomo. Da noi due grandi aziende italiane sono state costrette negli ultimi 8 anni a spegnere e sostituire le macchine. Altro che bonifica. Ma ovviamente un privato non si fa cattiva pubblicità».
In questo contesto di forzata collaborazione, di applicazioni civili/militari e informatiche, sarà fondamentale l'abbandono del concetto di difesa come agente statico, per iniziare a concepirla, almeno nel contesto della cyber-war, come un agente il più mobile possibile. Vista la rapida evoluzione del mondo dello sviluppo software, avere un sistema “gelatinoso”, meno liquido di quello dell'avversario e quindi più lento, può essere molto dannoso, e gli ambienti politici e militari lo sanno bene o lo capiranno presto. Questo cosa comporta? L'Europa, purtroppo, non potrà che vincolare gli Stati a regole molto rigide in termini di sicurezza, togliendo loro buona parte dell'iniziativa autonoma (vista l'attuale interdipendenza tra stati, e sapendo che in futuro sarà sempre maggiore, immaginiamo di lasciare completa autonomia sulla sicurezza a paesi come Grecia e Italia: sarebbero gli anelli deboli della catena, la porta d'ingresso per tutti i sistemi collegati ai loro. Gli altri stati dovrebbero difendersi dagli attacchi extrauropei, dalle talpe interne, dallo spionaggio, dagli hacker e dai computer Italiani e Greci.), e proseguire sviluppando nuovi settori di Cyber-intelligence e cyber-war. Questa è un'altra spinta verso la creazione di un governo europeo il quale, poi, si coordinerà sempre più (perché non possiamo permetterci loro ostilità) con USA e Russia, continuando chissà per quanto la politica ambigua ed altalenante tra le due potenze. Gli Stati Uniti hanno i soldi e il maggiore investimento mondiale nella difesa, i Russi tante armi atomiche e pochi problemi a forzare le regole oltre la diplomazia, entrambi hanno investito molto nella ricerca sulla cyber-war, noi abbiamo la Francia e la Gran Bretagna che si pongono come paladini d'Europa e la Germania che fa da banchiere e padre autoritario: pesando un po' le possibbilità, è evidente che noi non ci troviamo in condizione di poter alzare la voce.
In tutto questo, bisogna tener conto della Cina che investe sullo spazio come sul know-how scientifico, e dell'India che deve trovare assolutamente una via d'uscita dalla sua crescita economica incoerente, per giustificare ai suoi cittadini la persistenza del suo inefficiente sistema politico.
Appena giungeranno i veri attriti e le difficoltà, sarà bene ricordarsi che la miglior difesa è l'attacco, e questo lo sanno tutti gli attori in gioco.
È così evidente che sviluppare un piano e una gestione coordinata sarà un'altra spinta verso l'Europa unita (o legata assieme) ma altri punti sono poco chiari.
Primo, la privazione di altra autonomia agli stati sarà un'ulteriore involuzione del diritto positivo in Europa, perché i cittadini avranno meno voce in capitolo e gli enti a cui far pesare la responsiveness saranno sempre più lontani. Nell'ambiguità del sistema europeo, questo sarà un ulteriore motivo di disaffezione, si vedrà sempre una maggiore differenza tra i principi democratici sbandierati dalla demagogia e il mondo reale, e l'identità del cittadino come “europeo” sarà un sentimento ancora più lontano, accentuando la percezione di sudditanza e sfumando quella di cittadinanza(8). Secondo, ma non per importanza, pare ambiguo l'effetto di tutto questo sulla abituale dicotomia civile-militare, perché tutto dipenderà dalle modalità in cui la collaborazione sarà sviluppata. Potrebbe essere una collaborazione morbida, con scambio di know-how, software e consulenze, ma potrebbe non esserlo, e in questo caso molte divise occuperanno posti prima riservati a camici e cravatte. Terzo, il peso economico di questo riarmo “soft” vedrà necessariamente un mutamento dei welfare nazionali, in quanto le risorse andranno deviate ai nuovi settori, lasciando parte della società più esposta alle ricorrenti crisi economiche internazionali e spingendo ad ulteriori privatizzazioni al fine di creare PIL.
La società muterà alcuni suoi aspetti in base a tutto questo.
Quarto, lo stato di diritto potrebbe mutare per dare “possibilità di manovra” all'intelligence oltre i pachidermici sistemi burocratici e legali odierni, ossia dargli ufficialmente carta bianca di infrangere le leggi (oltre l'attuale libertà d'azione, e senza neanche più dissimularla).


Tutto questo è una proiezione nel futuro, potrebbe impiegare molto tempo ad avvenire o essere accelerato da fattori forti come guerre tradizionali e crisi economiche, ma in parte è già iniziato e Stuxnet non può essere ritenuto, da solo, responsabile di tutto questo. L'intelligence cresce di importanza in maniera costante, l'Europa si evolve velocemente e oltre la capacità di analisi e comprensione dei suoi comuni cittadini, spingendo, ad ogni crisi economica e politica, gli stati a privarsi ogni volta di un po' più di autonomia, a partire dal settore finanziario.
Certo è che questo worm difficilmente non avrà conseguenze e per questo è stato preso sul serio da tante nazioni. La sua esistenza apre nuovi scenari e nuove prospettive di analisi, richiamando alla mente tanta letteratura fantascientifica recente e ponendo in dubbio la sua completa fantasiosità. L'Europa e l'Italia, ora come ora, paiono in balia degli eventi e senza una direzione. L'era della cyber-war pare destinata a coglierla di sorpresa, e se l'Italia non saprà reagire di concerto con l'Europa, cambiando i suoi modelli e le sue priorità, le conseguenze potrebbero essere ancora peggiori della perdita di democraticità che si prospetta nel futuro. Si tratta di turarsi il naso o finire asfissiati: militarizzasione delle strutture critiche, diffusione di protocolli rigidi e comuni, creazione di enti con poteri vincolanti, a loro volta interconnessi per strategie sovranazionali, depotenziamento del welfare-state, probabilmente vincolerà l'iniziativa privata senza dare ai cittadini potere sul pubblico, ma se davvero si prospetta l'alba di un nuovo warfare, per prevenire che si anche un nuovo periodo di guerre bisogna che vi siano grandi sforzi sui vari livelli chiave, inclusa la difesa e la prevenzione.
F. DiMaggio
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  1. New York Times.
  2. Un'installazione di ricerca nucleare israeliana nel Deserto di Negev, riconosciuta dal governo israeliano ma dalle funzioni “classified”.
  3. Un worm (verme) è un particolare tipo di virus informatico “Ciò che distingue i virus propriamente detti dai worm è la modalità di replicazione e di diffusione: un virus è un frammento di codice che non può essere eseguito separatamente da un programma ospite, mentre un worm è un applicativo a sé stante” (Wikipedia)
  4. Supervisory Control and Data Acquisition
  5. Fonte Ansa del 17 aprile
  6. Fonte www.l'occidentale.it “Ahmadinejad deve riconoscere di essere stato battuto da Stuxnet” 20/12/2010
  7. La relazione annuale 2010 del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) e dal Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) nella relazione del luglio 2010 ) hanno parlato del nuovo virus, ma da qui pare difficile si arrivi ad un'azione seria e incisiva, visto anche che l'Italia (e l'Europa) non ha ancora neanche risorse istituzionali col quale gestire l'affaire Stuxnet.
  8. Problema che potrebbe essere anche affrontato nella più classico e funzionale dei modi: creare un “loro” per rafforzare un “noi”. È il principio per cui, per unire una nazione sotto la sua bandiera, spesso si intraprende una guerra con un nemico sapientemente demonizzato. L'alternativa pacifica potrebbe essere un grande e nuovo sforzo pubblicitario/educativo a partire dalle scuole, che ha effetti migliori e più duraturi, ma richiede tempo e costanza. È comunque un argomento che sarà affrontato in altra sede.